La cultura è l’unico bene dell’umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire diventa più grande. (Hans Georg Gadamer)

sabato 9 aprile 2016

Appunti PRIMA GUERRA MONDIALE e RIVOLUZIONE RUSSA




Rivoluzione d’Ottobre


Rivoluzione d’Ottobre

La Rivoluzione d’Ottobre prese il via nel 1917, comportando l’uscita della Russia zarista dal primo conflitto mondiale e l’intervento statunitense. Ma perché?

Le cause

Se nei Paesi del centro-ovest Europa si erano scatenati e diffusi gli ideali di Libertè, Fraternitè ed Egalitè, in Russia questo concetto era una barzelletta. Nel 1861 era stata sì abolita la servitù della gleba ma fra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare: non c’erano diritti civili, la stragrande maggioranza della popolazione viveva sotto la soglia della povertà, il sistema in vigore era l’autocrazia, i raccolti buoni arrivavano con il contagocce, gli operai lavoravano in modo disumano, l’arretratezza del Paese era una condanna, l’enorme capitale di cui disponeva la Russia (243 miliardi di euro) veniva usato per feste e balli e la popolazione ancora contadina era il 90%. Inoltre i durissimi sistemi di repressione messi in atto dallo Zar fino al 1905, anno in cui compariranno il diritto all’associazione, il diritto alla libertà di stampa, il diritto a riunirsi e l’istituzione della Duma (una camera ad elezione popolare).

 “Non sono pronto a essere uno zar. Non ho mai voluto esserlo. Non so nulla su come si governa. Non ho la minima idea di come si parli ai ministri.” Questa è la celebre frase che il neo-Zar Nicola II una volta eletto, disse fra le lacrime al cugino. 

Il 1905



L’incoronazione dello Zar Nicola II a San Pietroburgo

Nel 1905 (anno in cui è al potere Nicola II Romanov) si vedono le avvisaglie della Rivoluzione. Per distogliere l’attenzione dai problemi interni (aumentati dal disagio delle classi nobili alla notizia di un tentativo di avviamento della politica di sviluppo industriale da parte del ministro delle finanze Sergej J. Vitte, rimosso in seguito dallo Zar) viene dichiarata guerra al Giappone. Dopo alcuni iniziali successi la flotta russa viene annientata dalla modernissima flotta giapponese, comandata dall’Ammiraglio Togo, nella battaglia di Tsushima. Senza la flotta i piani di invasione della Manciuria e del Giappone naufragano miseramente. Oltre all’enorme costo umano della guerra, il costo economico dà il via a numerose rivolte. La Domenica di sangue (22 gennaio 1905) in cui 140.000 pacifici manifestanti vengono presi a fucilate dalla guardia del palazzo dello Zar (1000 morti), da il colpo definitivo all’immagine dello Zar. Le rivolte scoppiate dappertutto, ma soprattutto l’ammutinamento di unità della Marina (come la corazzata Potemkin) e dell’Esercito, unito ai violenti scioperi operai, costringono lo Zar a cedere i diritti sopra detti.

Lo scenario politico

Nel e prima del 1905, si erano andati a formare gruppi più o meno clandestini, sulla base dei principali partiti politici occidentali. Nel 1905 divennero tutti legali. In quel momento il partito principale era il Partito socialdemocratico (diffuso soprattutto fra gli operai), diviso però in due correnti: i menscevichi, che credevano nella realizzazione di un governo popolare e riformista, e la corrente bolscevica, che voleva il popolo dritto al potere per mezzo di un processo rivoluzionario. Questo partito aveva come principale antagonista il Partito socialista rivoluzionario, che propugnava la collettivizzazione delle terre, ed aveva il vasto consenso dei contadini. Da questo partito avrebbe preso vita successivamente il partito comunista. Dalla fusione del Partito Liberale e di quello costituzionalista nacque il partito dei “cadetti”.

In questa situazione la Russia scende in guerra nel 1914. Cominciano subito le sconfitte, come l’occupazione di Riga, mentre i tedeschi respingono i Russi, che nonostante il coraggio e l’ardore non hanno munizioni, armi potenti, capi degni di questo nome e un sistema logistico efficiente. Come in tutte le guerre poi, si preferisce dare le risorse ai soldati e non ai civili: la fame dilagante nella popolazione la rende sempre più nervosa. Inoltre l’impoverimento era favorito dal fatto che su 100 giovani abili al lavoro ne tornavano 10. Milioni di persone videro così mancare all’appello la forza lavoro. Lo Zar decise di prendere il comando delle forze armate, lasciando il governo alla ancor più incapace moglie, che era piegata dal suo fanatismo religioso al monaco Rasputin (assassinato nel 1916). Ora anche l’aristocrazia considerava intollerabile la situazione, con i tumulti di piazza e l’assenza di un vero governo. La stessa Duma era in fibrillazione.

A San Pietroburgo scoppiò una rivolta (febbraio del calendario russo), che fu sostenuta in larga parte dalla polizia zarista. Le truppe richiamate dal fronte non riuscirono a giungere in tempo per via di uno sciopero dei ferrovieri. La Duma, contro il volere dello Zar, sciolse il governo, e ne instaurò uno prevalentemente di destra. Lo Zar veniva convinto ad abdicare. Ma il nuovo governo non capì le richieste del popolo. Nonostante la concessione di veri diritti civili, il popolo voleva pace, terra ed una vera riforma agraria. Inoltre migliaia di soldati disertori stavano tornando dal fronte, desiderosi di farla pagare a chi li aveva fatti soffrire. Si riformarono i Soviet, i consigli degli operai, che divennero ben presto una spina del fianco del governo. Se collaborazione fra i due gruppi ci fu, non fu delle migliori. La gente vedeva nei Soviet le persone che la rappresentavano veramente, e questo fece cominciare scioperi a cascata. Il governo intanto era sotto pressione da parte di tutti quelli che volevano ristabilire l’ordine. Il partito bolscevico fu il vero innovatore: Lenin, il suo leader, scrisse le tesi di aprile, dopo essere tornato in Russia con l’appoggio dei tedeschi. Una volta tornato Lenin scrisse le tesi d’aprile, in cui prendeva una decisione drastica: rivoluzione proletaria, socialismo al potere, abbandono del capitalismo. Molte furono le critiche, avanzate anche da Stalin. Ma le masse contadine approvarono e seguirono. Senza controllo diedero vita ad una specie di rivoluzione, attaccando i nobili, bruciando le loro case, prendendosi le loro terre e bruciando i loro obblighi. Il governo era sotto pressione, e non era ancora uscito dalla guerra, ormai persa. I tradimenti fra generali e governo portarono all’arresto da parte dei secondi di numerosi bolscevichi, che poi armarono e liberarono per salvare il governo da una dittatura militare. In agosto era stato represso un tentativo rivoluzionario dell’esercito, ma questa volta si aveva l’appoggio del governo: gli scontri fra esercito e operai furono violentissimi, ma la vittoria fu dei secondi. Lenin fu esiliato dopo essere stato utile al governo. L’ultimo governo fu formato. Ad ottobre Lenin sosteneva fosse il momento di prendere il potere. Il governo, ormai screditato davanti alle masse, tentò in ogni modo di evitare la rivoluzione, ma verso la fine di ottobre questa scoppiò: il governo prima cercò truppe fedeli ma, dato che non ve ne erano, fuggì. Lenin prese il potere, formando un nuovo governo: la terra fu donata ai contadini, la Russia si ritirò dalla Grande guerra; Ma ben presto ne sarebbe scoppiata un'altra. Lenin era convinto di uno scoppio della rivoluzione in Europa, cosa che non avvenne.

La guerra civile in Russia

Successivamente alla presa del potere da parte dei bolscevichi ed all’uscita della guerra, comincia la formazione nel sud del Paese delle armate bianche, controrivoluzionarie. Alla fine della Grande Guerra entrano in azione anche le forze alleate, che fornirono armi, truppe e viveri alle armate bianche. Ma queste sono divise internamente, ed è questo fattore a pregiudicare la possibilità di sconfiggere il



governo dei Soviet. L’armata rossa avanza, dopo alcune iniziali sconfitte, superando il Volga, sfruttando la momentanea incapacità di coordinazione strategica dei russi bianchi. Mentre alcuni colpi di mano sul governo bianco mettono in crisi i bianchi, le offensive bianche si spostano verso Mosca. I bianchi si ritirano verso l’Ucraina, ma vengono cacciati anche da lì. Un estremo tentativo controrivoluzionario porta alla definitiva sconfitta dei bianchi; i rossi prendono il controllo della maggior parte del vecchio impero russo, nonostante sporadici combattimenti, soprattutto nella zona siberiana, dove si era rischiato di più per la presenza della Transiberiana, che favoriva rapidi spostamenti delle truppe bianche lungo tutto il territorio asiatico. Petr Vrangel’, l’ultimo presidente bianco del sud, viene abbandonato dai suoi sostenitori britannici, che gli impongono la capitolazione. Per gli Inglesi, che erano stati i maggiori sostenitori del governo bianco, è una sconfitta.

La carestia del 1921-1922

Come sempre, si dà ai soldati e non ai civili: la guerra civile russa, un vero mattatoio, sebbene vinta dai rossi, è una sconfitta del loro sistema agricolo (verrà rimpiazzato dalla NEP, nuova politica economica).  Si arrivò addirittura al rischio di una controrivoluzione contadina, che avrebbe fatto cadere il governo leniniano. 38,2 milioni di tonnellate di grano, sono niente per alimentare un popolo enorme, e per di più in guerra. Sebbene le carestie siano una costante dell’agricoltura russa, questa è fra le più gravi della Storia: viene evacuata la Siberia, enormi masse di affamati si spostano da una parte all’altra, vi sono casi di suicidi collettivi e di cannibalismo. Le cifre migliori sui morti della carestia sono di circa 5 milioni di persone. Gli aiuti internazionali arrivano a centinaia, ma non sono abbastanza.

Dopo ogni guerra, i vincitori si prendono la rivalsa sui vinti: molti testi riportano le stragi, come quello di Isaak Emmanuilovic Babel’, che racconta nel suo libro “L’armata a cavallo” la ferocia dei rossi che si prendevano la loro rivincita sui bianchi (il testo si trova sul nostro libro di storia).



Bibliografia:

·         Il nuovo i tempi e le idee dal novecento a oggi  Petrini

·         Storia illustrata del 20 secolo  Giunti

Sitografia




consiglio a tutti il sito  http://cronologia.leonardo.it/mondo24b.htm



·         autocrazia: sistema di potere in cui comanda un re che non ha nessun dovere verso la legge e non la deve seguire.